venerdì 17 giugno 2011

Noi, SEL. Spunti di discussione

 ... dal sito di " Sinistra Ecologia Libertà.

Mi sembra che il dibattito aperto dall’intervista di Nichi Vendola sul Corriere della Sera rischi di avvitarsi attorno a minime diversità di opinioni in merito ai tratti essenziali di SEL, mentre le vere differenze, ossia le diverse proposte rispetto alle scelte che dovremmo apprestarci a fare, continuino a restare in penombra.
Cercare di mettere a fuoco i punti veri su cui serve un approfondimento di riflessione collettiva, può aiutarci forse a rendere più utile per tutti noi la prossima riunione dell’Assemblea Nazionale.
Partiamo dalle cose che sembrano assodate per tutti e su cui non ha davvero senso continuare a riproporre la propria opinione, per marcare sfumature per lo più irrilevanti:
  1. Nessuno di noi vuole un “partitino” (accusa che tra l’altro viene periodicamente lanciata dagli uni verso gli altri, e viceversa, a tempi alterni; potremmo archiviare la questione una volta per tutte?) e tutti sappiamo che quel che serve all’Italia è la rinascita di una politica di sinistra che ritorni ad intercettare il consenso e l’entusiasmo di un popolo, che chiede unità, coerenza e concretezza;
  2. La forma partitica classica, così come l’abbiamo conosciuta nel secolo scorso, è tramontata definitivamente, travolta dal cambiamento dei tempi, dal progresso tecnologico che ha mutato completamente non solo i modelli di produzione, ma anche le modalità con cui si partecipa all’arena pubblica;
  3. Il sistema politico italiano è inadeguato, nelle regole e nelle persone, a rispondere alle domande dei cittadini;
  4. Il centrosinistra, se vuole sconfiggere il centrodestra, deve trovare il modo di costruire una proposta credibile per vincere le elezioni, ma anche il modo per poter trovare una sintesi tra le proprie differenze per poter governare; tutti noi crediamo che questi modi non si possano trovare nelle sommatorie realizzate a tavolino (figurarsi con fusioni a freddo con partiti in profonda crisi!), ma aprendosi a larghi processi democratici.
Se su questo siamo tutti d’accordo, restano invece aperte molte questioni su cui si dovrà scegliere. Se non lo faremo, rischiamo di perdere una grande opportunità.

1. QUEL CHE SIAMO E QUEL CHE VORREMMO ESSERE.
Se è certo che nessuno di noi vuole un partitino, non è detto che quel che faremo nei prossimi mesi non ci porti comunque a quel risultato. Come è noto, “la via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni” e i processi organizzativi possono prendere strade diverse dagli intenti dei loro stessi membri. Partiamo dal fatto che aver proclamato di aver costituito un partito non fa sì automaticamente che questo partito esista realmente; così come proclamare che siamo un movimento, non ci renderebbe automaticamente più duttili e capaci di adattarci ai cambiamenti della realtà. Piuttosto che dibattere astrattamente attorno alla definizione giusta da darci, dovremmo fare uno sforzo per capire cosa è oggi SEL nella realtà (soprattutto a seguito dell’esperienza delle elezioni amministrative e del risultato straordinario dei referendum) e chiederci se corrisponde ai nostri obiettivi; e se così non fosse, dovremmo interrogarci su cosa possiamo fare per rendere questo nostro strumento sempre più efficace rispetto a quanto vogliamo raggiungere; una volta individuate e decise le azioni che possono rendere la SEL reale più vicina a quella ideale, dovremmo cercare di metterle in pratica, piuttosto che consegnarle agli archivi dei nostri dibattiti, anche se questo potrà voler dire stravolgere assetti e mettere in crisi equilibri consolidati all’interno della nostra comunità.


2. LA PARTITA E’ RIAPERTA. E ADESSO?
Lo slogan scelto per il tratto saliente della nostra azione si è rivelato azzeccato. E’ evidente che da strati sempre più ampi di cittadinanza sta montando una richiesta di cambiamento e SEL e soprattutto Nichi Vendola hanno avuto in moltissimi casi la capacità di intercettarla; o meglio, hanno avuto la capacità di rendere possibile la costruzione di proposte credibili in grado di intercettarla. Dovremmo analizzare meglio quali siano stati gli elementi che ci hanno consentito di raggiungere questo risultato in alcuni luoghi (primarie, scelta di candidati credibili, etc.) e non in altri. Non per trovare i “responsabili” delle sconfitte, ma per capire come si possono interrompere meccanismi che talvolta ci portano a compiere scelte palesemente sbagliate.
Ma più di questo è secondo me urgente e necessario capire come consolidare i risultati positivi, perché il “vento” di entusiasmo e cambiamento non refluisca (come spesso accade) subito dopo le campagne elettorali e si vada ad infrangere contro le difficoltà delle azioni di governo. Il nostro è un mondo veloce, in rapida evoluzione, in cui le persone si aspettano risposte in tempi brevi. E soprattutto, non prendono in considerazione la necessità di un proprio impegno prolungato nel tempo. Se la maggior parte delle persone vede nel rapporto diretto con leader riconoscibili la ragione del proprio impegno, e non riesce assolutamente a vederlo nel sostegno alle organizzazioni partitiche, è sicuramente perché quest’ultime sono viste come luoghi “di proprietà” di altri (potenti oligarchie nazionali o piccoli gruppi locali, il senso di estraneità è lo stesso), ma anche perché si tende ad avere una visione individualistica della partecipazione democratica a scapito della dimensione associativa, per cui è preferibile il ruolo di “supporter” piuttosto che quello dell’attivista “globale”. Ma il rischio che l’entusiasmo e la passione che circondano la figura di Nichi Vendola, innanzitutto, ma anche le altre figure emerse in queste ultime elezioni, siano associati ad una sorta di aspettativa “salvifica” al di sopra della realtà è estremamente elevato. Occorre trovare il modo di convogliarli invece su un’auto-assunzione di responsabilità del ruolo di ognuno nel cambiamento sociale. Non dobbiamo cavalcare l’antipolitica, dobbiamo riconciliare la politica e la società. Cambiando innanzitutto la politica, ma anche la società. E’ questa la vera sfida che ci aspetta.

3. PARTITO O MOVIMENTO, PURCHE’ SIA DIVERSO.
Portare le energie migliori della società nella politica vuol dire portarle dentro SEL? Non necessariamente. In questo senso il nostro ruolo va ben al di là dei confini del nostro soggetto politico. Se il cambiamento passa dal togliere la politica dalle mani di élites sempre più ristrette, dobbiamo trovare il modo di allargare la partecipazione, ma anche trovare il metodo che consenta la selezione adeguata delle idee e delle persone giuste. Viviamo in un paese in cui in ogni campo il problema maggiore è la mancanza di un processo meritocratico di selezione. La politica non fa eccezione, purtroppo, anzi ne è l’emblema. Se questo sforzo, da parte di SEL, è apparso spesso evidente nella sua esposizione esterna, non si può dire altrettanto per la vita interna. Il punto, ripeto, non è definirsi partito o movimento. Non è neanche se SEL sia il soggetto che mira a diventare qualcosa di più grande o sia il soggetto che si mette a disposizione per creare qualcosa di più grande insieme ad altri. Il punto è che, in ogni caso, non si può rinunciare alla necessaria innovazione. Dobbiamo mettere al centro il coraggio, come stella polare, per sconfiggere la paura, in tutte le forme in cui questa si manifesta. Coraggio che è stata la chiave di volta dei diversi successi nostri e del centro sinistra in questo ultimo anno. Per tornare all’intervista di Vendola, le reazioni di ampi settori del PD hanno il tratto caratteristico della paura. E questo dovrebbe rendere noi più decisi nel portare avanti la sfida della nuova sinistra, senza timori, evitando però il rischio di ridurla al dialogo tra pezzi di gruppo dirigente.
Se è vero che dobbiamo sconfiggere il timore di un’annessione (che nei fatti con le primarie, non si è mai verificata), è altrettanto vero che va evitata la paura di una strutturazione del partito come limite alla nostra azione. Questa strutturazione, se accompagnata dal chiaro profilo politico culturale emerso da Firenze, non inficerebbe nessuna evoluzione futura ma anzi la potrebbe aiutare.
L’iter di costruzione dello statuto è in questo senso emblematico e non possiamo affermare che sia stato costruito con il necessario coraggio: sarebbe dovuto scaturire da un impegno straordinario di esperti, studiosi, rappresentanti di esperienze concrete, per poter dar vita a una “casa” che potesse rendere possibile e utile la partecipazione più vasta possibile, non solo dei singoli ma anche dei tanti soggetti sociali che compongono la galassia della sinistra, e la partecipazione più qualificata possibile per la produzione di idee e pratiche veramente nuove. Non mi pare che questo sia stato. Prendiamone atto: la struttura cui stiamo dando vita è lontana anni luce da quella che è l’aspettativa attorno a noi e soprattutto attorno a Vendola. Noi non stiamo facendo il possibile per fare di SEL un luogo diverso dagli altri. Tutti, me compresa, abbiamo fatto errori, ma credo che questa situazione sia il risultato di qualcosa che va al di là della responsabilità dei singoli, che sia frutto di una dinamica tipica dei processi organizzativi. E’ una responsabilità collettiva e, collettivamente, siamo ancora in tempo per cambiare strada. Basta volerlo.
Ileana Piazzoni

mercoledì 15 giugno 2011

RIAPRIRE LA PARTITA

 ... dal "Manifesto per Sinistra Ecologia Libertà" ottobre 2010.

Con il congresso di Sel nasce in Italia un soggetto politico nuovo.
I nostri principi fondamentali sono pace e non violenza, lavoro e giustizia sociale, sapere e
riconversione ecologica dell’economia e della società.
Il nostro orizzonte è un mondo futuro non dominato dalla forma di merce, nel quale il buon vivere
sarà una funzione della conoscenza, della sicurezza, della bellezza, della convivialità; un mondo
che metta in equilibrio città e campagna, ponendo un limite secco all’ipertrofia del cemento e della
chimica; un mondo non dipendente dai combustibili fossili e dall’uranio; policentrico e tutore della
variabilità: genetica, delle civiltà e dei linguaggi umani; capace di mettere al servizio di tutti la
scienza, la tecnologia, la rete. Un mondo in cui venga bandita la miseria e la fame, e in cui la
guerra diventi un tabù. Un mondo capace di guardare con rispetto e amore anche la dimensione
del “vivente non umano”. Un mondo in cui venga pattuito un nuovo inventario dei beni comuni
dell’umanità, non disponibili per interessi privatistici e speculativi, messi al riparo dall’egoismo e
dall’avidità: beni comuni naturali, aria, acqua, foreste, spazio; accesso di tutti ai medicinali e alle
cure sanitarie; equa distribuzione della conoscenza, dell’informazione, della tecnica.
La nostra missione è restituire la parola alle culture critiche europee, contribuire a costruire una
nuova larga sinistra in Italia ed in Europa, contribuendo, nel nostro paese, ad una alternativa
politica, sociale e culturale alla destra. Una destra che, pur segnata dai contrasti interni e dalla
incapacità di dare risposte positive al paese, è sempre più pericolosa per il disegno autoritario e
antisociale che incorpora.

La connessione tra le tre parole-concetto che stanno nel simbolo del nuovo partito non è né
scontata né storicamente sperimentata: della “sinistra” si parla nell’Europa di oggi per denunciarne
la crisi; “libertà” è abusata da una destra pervasa di umori populistici, autoritari, clericali, xenofobi,
razzisti, antisemiti, misogini, omofobici; “sinistra” e “ecologia” -nonostante il progredire di una
coscienza di massa sullo stato critico del pianeta - continuano a vivere largamente in conflitto.
Fonderle in una cultura comune, un progetto ed una programma è una grande impresa inedita.
Siamo nel pieno della stagione della crisi della politica, e della crisi verticale della forma-partito. La
crisi della politica ha ragioni profonde, di sistema. La globalizzazione neoliberista è stata una vera
e propria rivoluzione conservatrice. Essa ha strutturato poteri –economici, finanziari, militari- più
estesi degli Stati nazionali, più potenti di governi e movimenti politici. Le decisioni fondamentali non
passano per la rappresentanza democratica e il costituzionalismo delle istituzioni pubbliche. Le
istituzioni politiche non si sono internazionalizzate come il capitale e la merce, e la democrazia è
regredita negli Stati nazionali. Ma ci sono altri aspetti che hanno aggravato pesantemente la
tendenza. Il primo è il processo di omologazione culturale e ideologica che ha visto convergere
sotto le bandiere del liberismo gran parte della sinistra storica: questa abdicazione è stata
chiamata “riformismo”. Il secondo è il progressivo dilagare della questione morale, che ha
provocato in Italia il costituirsi di una parte della borghesia in “cricca”, e gran parte del ceto politico
in “casta”. E’ così che i partiti attuali sembrano l’esatto rovescio dei luoghi di socialità , di gratuità,
di solidarietà che ne hanno segnato la nascita il secolo scorso. La politica sembra restringersi a
vuota immagine e potere.

I cittadini e i lavoratori vivono tra adattamento, disincanto e protesta. Un nuovo soggetto politico
nasce legittimamente se appare, ed è nella realtà, radicalmente controcorrente, cioè portatore di
buona politica, di una riforma della politica. Fatti e movimenti politici vivi e innovativi continuano a
nascere in piazza e sul Web: dal “popolo viola” alla sollevazione per la libertà della cultura e
dell’informazione, dal referendum per l’acqua pubblica alle lotte contro le leggi “ad personam”, oltre
al rinnovato protagonismo di settori del lavoro dipendente, sia pubblico, a partire dai settori della
conoscenza, che privato, che hanno espresso in questi mesi una capacità di reazione imprevista,
di cui la vicenda di Pomigliano è la più nitida e feconda espressione. Eppure, le estreme difese del
lavoro si trovano spesso a doversi spettacolarizzare in forme inedite, segnalando per questa via il
progressivo distacco delle forme di rappresentanza tradizionali, a partire dai partiti politici, ma che
giungono fino alla crisi di rappresentatività espressa in molte vicende dai sindacati. In Puglia, in
controtendenza, sono emerse modalità organizzative vitali, affollate da giovani spesso al primo
approccio con l’impegno civile e politico, come le “Fabbriche di Nichi”, che costituiscono una delle
più significative novità della politica italiana, proprio perché sono svincolate da una logica
immediatamente legata alla sfera politico-istituzionale.

Nella sua prima esperienza di vita, dopo la sconfitta del 2008, Sel ha provato con tenacia ad unire
le forze della sinistra, ma la frantumazione ha fatto prevalere logiche identitarie e conservazione di
nicchie ideologiche. Bisogna spezzare l’incantesimo. Tutte le espressioni organizzate della
soggettività politica sono in crisi. Lo straordinario movimento No Global –la “seconda potenza
mondiale” dei primi anni del secolo-, che ha mostrato di saper andare al cuore dei problemi, che
pure in Italia attraversa una fase di crisi, dimostra, con le mobilitazioni contro il G20, la proposta
unitaria di partecipare alla mobilitazione europea dei sindacati oltre alle molte iniziative presenti nel
resto del pianeta, la persistenza delle ragioni che lo originarono e che ancora lo innervano: lo
straordinario successo della raccolta di firme per i referendum per l’acqua pubblica ne è una
conferma. Non bastano partiti politici, in crisi profonda. Il compito attuale è di ricostruire una
partecipazione democratica e di dare forza e credibilità ad una idea di trasformazione, sia nei
contenuti, che nelle pratiche. In particolare, riteniamo che ogni proposito di riforma della politica sia
vanificato se non parte dalla centralità della democrazia, non solo quella rappresentativa. Per
questo, così come sosteniamo l’indispensabilità dell’introduzione di meccanismi democratici nel
mondo del lavoro, come il voto sui contratti, allo stesso modo pensiamo che oggi le forze politiche
debbano promuovere, a tutti i livelli, strumenti di coinvolgimento e partecipazione, come le
primarie, sia al loro interno che nella società in cui operano. Dobbiamo e vogliamo dare un’anima
ed una speranza alla parola alternativa.

Sel deve mettersi a disposizione di un vero big bang, un nuovo inizio. Sel è una forza autonoma,
nel progetto e nella sua organizzazione, ed unitaria nella ricerca di alleanze politiche e sociali che
ricompongano la frantumazione presente. Intendiamo dare voce e rappresentanza a chi oggi non
si riconosce nell’attuale panorama politico e che vuole ritrovare un’unità di popolo che dia respiro
ad un progetto credibile e alternativo di governo del paese. Tutto il quadro immaginario di sistemi
iper maggioritari e bipartitici (nel quale è sorta e rapidamente tramontata l’illusione della
autosufficienza del Pd) è fallito. C’è dunque da costruire daccapo un pensiero, un programma, un
progetto, una leadership.
Ci vuole cultura e struttura. Ci vuole un’organizzazione, radicata e flessibile, giovane e coraggiosa:
un soggetto politico che si metta in rete con tutte le esperienze innovative, e che tessa il filo delle
idee e delle passioni autentiche. Che faccia della cooperazione la nuova modalità di vita associata.
“Sinistra, ecologia e libertà” vuole essere il lievito e il sale della costruzione della soggettività di una
nuova grande sinistra. La sinistra della libertà e dell’uguaglianza, del lavoro e dell’ambiente.

DOPO IL NOVECENTO

... dal "Manifesto per Sinistra Ecologia Libertà" ottobre 2010.

Il Novecento è finito. La contesa generale che ne ha scandito il calendario storico è stata quella tra
Capitale e lavoro: sterminate plebi hanno fatto il proprio ingresso sulla scena pubblica, si sono date
la forma e la cultura di un proletariato maturo, hanno plasmato la vita e lo stile delle nostre
democrazie, hanno rotto il gioco secolare dello schiavismo e del colonialismo. In quella lotta aspra
e spesso sanguinosa sul nesso che lega lavoro e libertà si sono stratificate le nuove culture della
modernità: l’utopismo e il riformismo dei nuovi movimenti di massa, il marxismo, il cristianesimo
sociale, il radicalismo liberal-democratico. Il Novecento è finito con la sconfitta del lavoro e la
vittoria del nuovo Capitale finanziario. Tra le sue macerie rischia di rimanere sepolta la speranza di
una società di “liberi ed eguali”, che pure illuminò l’intero secolo, mobilitando in forme inedite quelle
energie sociali e quelle passioni individuali che cambiarono il corso della storia. La sinistra
novecentesca è stata la proiezione sulla scena pubblica di una planetaria spinta di emancipazione
sociale e di liberazione umana. Nell’esperienza storica degli Stati comunisti quella spinta è stata
invece soffocata e capovolta, e all’annuncio del “regno della libertà” si è sostituita la cortina di ferro
e la pedagogia dei gulag. Anche le socialdemocrazie, che hanno realizzato uno straordinario
compromesso tra i diritti del lavoro e il mercato capitalistico, sono state travolte dalla forza
rivoluzionaria che la nuova destra conservatrice mondiale traeva dalla crisi vorticosa dell’Est.
Tra la “storia è finita” e la “guerra infinita” si è giocata un’intera partita di egemonia e di dominio
degli assetti di potere mondiale. Il potere ha tramutato la propaganda in pubblicità, ha reinventato
le forme dell’immaginario di massa, ha riplasmato i desideri collettivi, ha covato le “uova di
serpente” di una nuova antropologia, consumista fino all’auto-cannibalismo e individualisticamente
nevrotica: non l’egoismo maturo di marxiana memoria, ma un egoismo dissipativo e cieco, capace
di trasmutare la libertà in una coazione infinita all’acquisizione di status symbol. L’individuo,
maschio e occidentale, compratore e venditore è il protagonista del mondo-market postnovecentesco.
Un mondo soffocato dai gas serra, assediato dal cemento, avvelenato,
desertificato, in piena crisi entropica. Il liberismo è stato ed è la narrazione “naturale” della
vocazione alla libertà predatoria, e la sinistra si è data come compito quello di temperare il calore
incandescente dell’umanità subordinata all’economia e dell’economia subordinata alla finanza.
Anche la politica è mercato, mercato elettorale. Dimensione pubblica del totalitarismo del privato.
Discorso pubblico sulla fine del primato del pubblico. Una modernità virtuale e veloce, incapace
tuttavia di fare i conti con le proprie ascendenze arcaiche: in particolare gli effetti perversi del
patriarcato in crisi e i suoi colpi di coda e il riproporsi del maschile come primato, che intende
sussumere il “femminile” come corredo e cornice, come allusione o “quota rosa”, senza mai
mettere in crisi le forme del politico e una architettura istituzionale che è escludente. Il regresso a
forme del diritto che evadono dai doveri dell’universalismo e riscoprono il fascino di una
legittimazione legata alla stirpe, al sangue e alla terra. La criminalizzazione dei poveri, nelle forme
di uno “Stato penale sovrannazionale” che usa i migranti come regolatore del costo del lavoro
globale e come capro espiatorio di qualsivoglia psicosi sociale causata da qualsivoglia crisi.
L’espulsione delle giovani generazioni dalla costruzione di futuro, in quanto la precarietà diviene un
tema unificante l’intero tempo di vita, dal mercato dei lavori atipici alle devastanti solitudini
metropolitane.
C’è un dolore incontenibile nelle forme antiche e nuove della “questione sociale”, nella geografia
dei lavori frammentati e orfani di tutela, nelle stratificazioni del non lavoro, nello smottamento dei
ceti medi verso le sabbie mobili dell’incertezza e dell’impoverimento, nella fatica di dare
rappresentazione pubblica e valore politico a ciascuna di queste esperienze di vita dimezzata, di
vita appesa, di vita a rischio. C’è un dolore persino straziante nello sfibramento della democrazia e
delle sue istituzioni, nella crisi del costituzionalismo democratico, e qui in Italia nel violento
precipitare in un “vuoto di democrazia” colmato dalla videocrazia, dalla censura di Stato, da poteri
opachi (e talvolta eversivi) che si auto-legittimano nei modi di un moderno populismo reazionario.
C’è un dolore anche inedito nella percezione della dissipazione irreparabile di vita e civiltà che si
consuma nell’oltraggio alla biodiversità e nell’aggressione mercificante alla natura. Qui c’è il vuoto
drammatico di sinistra. Qui c’è per intero il senso e il bisogno della sinistra. Non la sinistra delle
nostre biografie intellettuali, di tutte le nostre scissioni, del cumulo di torti e di ragioni che ciascuno
di noi si porta addosso. La sinistra che raccoglie e moltiplica domande di libertà e di eguaglianza
oggi più che mai soffocate e manipolate. La sinistra che ha bisogno di un popolo, il popolo ha
bisogno di una sinistra nuova, dell’eguaglianza, non dogmatica, libera, plurale e unitaria. Ecco: noi
vogliamo aprire il cantiere, non vogliamo chiuderlo. Vogliamo riaprire la partita, prima ancora che
aprire un partito. Vogliamo farlo in un percorso nuovo, in cui i luoghi che costruiremo non hanno la
presunzione di essere autosufficienti e definitivi. Vogliamo un soggetto politico, ecologista e
libertario, proprio per costruire un’alternativa al moderno capitalismo, che ci metta in cammino, che
ci aiuti a incontrare tante e tanti che come noi, ma diversamente da noi, cercano il vocabolario
della sinistra di un secolo nuovo.

giovedì 9 giugno 2011

La chiusura del PD, il movimento di SEL

... dal sito di "Sinistra Ecologia Libertà"

Quante volte in questi due anni di costruzione del progetto di SEL ci siamo detti che il nostro obiettivo non era certo quello di dar vita ad un partitino più o meno consistente dal punto di vista elettorale, ma lavorare e scompaginare i vecchi recinti dei partiti del centro-sinistra per ridare una prospettiva politica nuova al Paese?
La nostra proposta politica di innovazione è incentrata sulla riconversione ecologica, sul superamento del precariato come destino ineluttabile di vita, nei valori dell’uguaglianza e della partecipazione, nel benessere della società come nuovo indicatore di ricchezza; proprio questi contenuti rendono evidente che SEL deve lavorare in un campo largo dell’opinione pubblica del paese, guardare all’Europa ai suoi movimenti avendo un riferimenti plurale capace di relazionarsi non solo al socialismo e alla sinistra Europea ma anche sopratutto all’esperienze ecologiste come quelle in Germania e in Francia proiettate ben oltre il 10%. Era retorica per declamare grandi progetti e poi coltivare piccoli orticelli? Noi non crediamo e per questo siamo sorpresi da alcune reazioni all’intervista di Nichi al Corriere.
Come percorrere strade nuove nella politica, come innovare nelle forme organizzative cedendo sovranità ad associazioni e movimenti, come riconnettersi ad un popolo di sinistra deluso e stanco della politica, sono state per molti di noi e Fava sa quante volte insieme ci siamo interrogati su questo, e sono domande imperative a cui spesso ne individualmente ne collettivamente siamo stati in grado di dare adeguate risposte.
Perchè è più facile e rassicurante ripercorre le strade antiche, ma conosciute delle nostre forme partito o delle nostre vecchie pratiche politiche. Non a caso abbiamo più volte espresso la nostra preoccupazione su come SEL si stia dotando di uno statuto che al di là delle buone intenzioni ci riconduce nel recinto del piccolo partitino tradizionale anziché proiettarci nel campo aperto evocate anche dall’intervista di Nichi.
Ma da Firenze in poi lo sappiamo tutti che la nostra strada obbligata è quella di mettersi in gioco, di navigare in mare aperto, di sperimentare e promuovere il protagonismo dei movimenti , delle associazioni dei singoli soggetti che si auto organizzano. Scandita a chiare lettere nelle conclusioni di Vendola con quell’invito ad essere un seme che deve far nascere un germoglio.
Abbiamo avuto ragione nel voler riaprire la partita e oggi, dopo le amministrative e mentre è in corso una straordinaria mobilitazione referendaria c’è una moltitudine di uomini e donne che chiede un processo costituente aperto della nuova politica e del nuovo centrosinistra a cui SEL deve dare una risposta di apertura e non di semplice identità organizzativa.
E’ esattamente questa sfida che Nichi nella sua intervista ha rilanciato con forza a SEL, al PD, agli altri alleati e soprattutto ai tanti giovani, donne e uomini che ai partiti inattuali non ci credono più, ma partecipano entusiasti alla battaglia referendaria, si organizzano contro il precariato per uscire dal tatticismo, dal politicismo, dalle etichette ormai prive di senso di riformisti, estremisti, moderati e riaprire la partita, ragionando su quello che serve all’Italia e chiamando direttamente i lavoratori, le donne, i precari a costruire questo progetto decidendo per esempio con le primarie su contenuti e persone. Che poi è esattamente quello che è accaduto a Milano, a Napoli, a Cagliari e in tante altre città. E’ la sfida per rimettere in campo  una proposta di sinistra ed ecologista vincente per il bene dell’Italia, è la scommessa su cui siamo nati come SEL.
D’altra parte la risposta di chiusura a questa intervista di Nichi proveniente da gran parte del PD ci deve rendere consapevoli delle difficoltà e dei rischi dei prossimi mesi. Il PD esce numericamente rafforzato dal voto amministrativo ma le sue contraddizioni politiche sono rimaste inalterate e forse aumentate come dimostra anche il goffo tentativo di mettere il cappello al movimento referendario e di relegare SEL in un ruolo predefinito in continuità con la vecchia geografia politica. E’ proprio questo schema che dobbiamo rompere avendo il coraggio di osare e non di accettare che dopo aver riaperto la partita altri la giochino al nostro posto.

Loredana De Petris, Paolo Cento

Riassunto per il 12 e il 13 giugno 2011


Vittoria!!!