... dal sito di " Sinistra Ecologia Libertà.
Mi sembra che il dibattito aperto dall’intervista di Nichi Vendola sul Corriere della Sera rischi di avvitarsi attorno a minime diversità di opinioni in merito ai tratti essenziali di SEL, mentre le vere differenze, ossia le diverse proposte rispetto alle scelte che dovremmo apprestarci a fare, continuino a restare in penombra.
Cercare di mettere a fuoco i punti veri su cui serve un approfondimento di riflessione collettiva, può aiutarci forse a rendere più utile per tutti noi la prossima riunione dell’Assemblea Nazionale.
Partiamo dalle cose che sembrano assodate per tutti e su cui non ha davvero senso continuare a riproporre la propria opinione, per marcare sfumature per lo più irrilevanti:
1. QUEL CHE SIAMO E QUEL CHE VORREMMO ESSERE.
Se è certo che nessuno di noi vuole un partitino, non è detto che quel che faremo nei prossimi mesi non ci porti comunque a quel risultato. Come è noto, “la via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni” e i processi organizzativi possono prendere strade diverse dagli intenti dei loro stessi membri. Partiamo dal fatto che aver proclamato di aver costituito un partito non fa sì automaticamente che questo partito esista realmente; così come proclamare che siamo un movimento, non ci renderebbe automaticamente più duttili e capaci di adattarci ai cambiamenti della realtà. Piuttosto che dibattere astrattamente attorno alla definizione giusta da darci, dovremmo fare uno sforzo per capire cosa è oggi SEL nella realtà (soprattutto a seguito dell’esperienza delle elezioni amministrative e del risultato straordinario dei referendum) e chiederci se corrisponde ai nostri obiettivi; e se così non fosse, dovremmo interrogarci su cosa possiamo fare per rendere questo nostro strumento sempre più efficace rispetto a quanto vogliamo raggiungere; una volta individuate e decise le azioni che possono rendere la SEL reale più vicina a quella ideale, dovremmo cercare di metterle in pratica, piuttosto che consegnarle agli archivi dei nostri dibattiti, anche se questo potrà voler dire stravolgere assetti e mettere in crisi equilibri consolidati all’interno della nostra comunità.
2. LA PARTITA E’ RIAPERTA. E ADESSO?
Lo slogan scelto per il tratto saliente della nostra azione si è rivelato azzeccato. E’ evidente che da strati sempre più ampi di cittadinanza sta montando una richiesta di cambiamento e SEL e soprattutto Nichi Vendola hanno avuto in moltissimi casi la capacità di intercettarla; o meglio, hanno avuto la capacità di rendere possibile la costruzione di proposte credibili in grado di intercettarla. Dovremmo analizzare meglio quali siano stati gli elementi che ci hanno consentito di raggiungere questo risultato in alcuni luoghi (primarie, scelta di candidati credibili, etc.) e non in altri. Non per trovare i “responsabili” delle sconfitte, ma per capire come si possono interrompere meccanismi che talvolta ci portano a compiere scelte palesemente sbagliate.
Ma più di questo è secondo me urgente e necessario capire come consolidare i risultati positivi, perché il “vento” di entusiasmo e cambiamento non refluisca (come spesso accade) subito dopo le campagne elettorali e si vada ad infrangere contro le difficoltà delle azioni di governo. Il nostro è un mondo veloce, in rapida evoluzione, in cui le persone si aspettano risposte in tempi brevi. E soprattutto, non prendono in considerazione la necessità di un proprio impegno prolungato nel tempo. Se la maggior parte delle persone vede nel rapporto diretto con leader riconoscibili la ragione del proprio impegno, e non riesce assolutamente a vederlo nel sostegno alle organizzazioni partitiche, è sicuramente perché quest’ultime sono viste come luoghi “di proprietà” di altri (potenti oligarchie nazionali o piccoli gruppi locali, il senso di estraneità è lo stesso), ma anche perché si tende ad avere una visione individualistica della partecipazione democratica a scapito della dimensione associativa, per cui è preferibile il ruolo di “supporter” piuttosto che quello dell’attivista “globale”. Ma il rischio che l’entusiasmo e la passione che circondano la figura di Nichi Vendola, innanzitutto, ma anche le altre figure emerse in queste ultime elezioni, siano associati ad una sorta di aspettativa “salvifica” al di sopra della realtà è estremamente elevato. Occorre trovare il modo di convogliarli invece su un’auto-assunzione di responsabilità del ruolo di ognuno nel cambiamento sociale. Non dobbiamo cavalcare l’antipolitica, dobbiamo riconciliare la politica e la società. Cambiando innanzitutto la politica, ma anche la società. E’ questa la vera sfida che ci aspetta.
3. PARTITO O MOVIMENTO, PURCHE’ SIA DIVERSO.
Portare le energie migliori della società nella politica vuol dire portarle dentro SEL? Non necessariamente. In questo senso il nostro ruolo va ben al di là dei confini del nostro soggetto politico. Se il cambiamento passa dal togliere la politica dalle mani di élites sempre più ristrette, dobbiamo trovare il modo di allargare la partecipazione, ma anche trovare il metodo che consenta la selezione adeguata delle idee e delle persone giuste. Viviamo in un paese in cui in ogni campo il problema maggiore è la mancanza di un processo meritocratico di selezione. La politica non fa eccezione, purtroppo, anzi ne è l’emblema. Se questo sforzo, da parte di SEL, è apparso spesso evidente nella sua esposizione esterna, non si può dire altrettanto per la vita interna. Il punto, ripeto, non è definirsi partito o movimento. Non è neanche se SEL sia il soggetto che mira a diventare qualcosa di più grande o sia il soggetto che si mette a disposizione per creare qualcosa di più grande insieme ad altri. Il punto è che, in ogni caso, non si può rinunciare alla necessaria innovazione. Dobbiamo mettere al centro il coraggio, come stella polare, per sconfiggere la paura, in tutte le forme in cui questa si manifesta. Coraggio che è stata la chiave di volta dei diversi successi nostri e del centro sinistra in questo ultimo anno. Per tornare all’intervista di Vendola, le reazioni di ampi settori del PD hanno il tratto caratteristico della paura. E questo dovrebbe rendere noi più decisi nel portare avanti la sfida della nuova sinistra, senza timori, evitando però il rischio di ridurla al dialogo tra pezzi di gruppo dirigente.
Se è vero che dobbiamo sconfiggere il timore di un’annessione (che nei fatti con le primarie, non si è mai verificata), è altrettanto vero che va evitata la paura di una strutturazione del partito come limite alla nostra azione. Questa strutturazione, se accompagnata dal chiaro profilo politico culturale emerso da Firenze, non inficerebbe nessuna evoluzione futura ma anzi la potrebbe aiutare.
L’iter di costruzione dello statuto è in questo senso emblematico e non possiamo affermare che sia stato costruito con il necessario coraggio: sarebbe dovuto scaturire da un impegno straordinario di esperti, studiosi, rappresentanti di esperienze concrete, per poter dar vita a una “casa” che potesse rendere possibile e utile la partecipazione più vasta possibile, non solo dei singoli ma anche dei tanti soggetti sociali che compongono la galassia della sinistra, e la partecipazione più qualificata possibile per la produzione di idee e pratiche veramente nuove. Non mi pare che questo sia stato. Prendiamone atto: la struttura cui stiamo dando vita è lontana anni luce da quella che è l’aspettativa attorno a noi e soprattutto attorno a Vendola. Noi non stiamo facendo il possibile per fare di SEL un luogo diverso dagli altri. Tutti, me compresa, abbiamo fatto errori, ma credo che questa situazione sia il risultato di qualcosa che va al di là della responsabilità dei singoli, che sia frutto di una dinamica tipica dei processi organizzativi. E’ una responsabilità collettiva e, collettivamente, siamo ancora in tempo per cambiare strada. Basta volerlo.
Ileana Piazzoni
Mi sembra che il dibattito aperto dall’intervista di Nichi Vendola sul Corriere della Sera rischi di avvitarsi attorno a minime diversità di opinioni in merito ai tratti essenziali di SEL, mentre le vere differenze, ossia le diverse proposte rispetto alle scelte che dovremmo apprestarci a fare, continuino a restare in penombra.
Cercare di mettere a fuoco i punti veri su cui serve un approfondimento di riflessione collettiva, può aiutarci forse a rendere più utile per tutti noi la prossima riunione dell’Assemblea Nazionale.
Partiamo dalle cose che sembrano assodate per tutti e su cui non ha davvero senso continuare a riproporre la propria opinione, per marcare sfumature per lo più irrilevanti:
- Nessuno di noi vuole un “partitino” (accusa che tra l’altro viene periodicamente lanciata dagli uni verso gli altri, e viceversa, a tempi alterni; potremmo archiviare la questione una volta per tutte?) e tutti sappiamo che quel che serve all’Italia è la rinascita di una politica di sinistra che ritorni ad intercettare il consenso e l’entusiasmo di un popolo, che chiede unità, coerenza e concretezza;
- La forma partitica classica, così come l’abbiamo conosciuta nel secolo scorso, è tramontata definitivamente, travolta dal cambiamento dei tempi, dal progresso tecnologico che ha mutato completamente non solo i modelli di produzione, ma anche le modalità con cui si partecipa all’arena pubblica;
- Il sistema politico italiano è inadeguato, nelle regole e nelle persone, a rispondere alle domande dei cittadini;
- Il centrosinistra, se vuole sconfiggere il centrodestra, deve trovare il modo di costruire una proposta credibile per vincere le elezioni, ma anche il modo per poter trovare una sintesi tra le proprie differenze per poter governare; tutti noi crediamo che questi modi non si possano trovare nelle sommatorie realizzate a tavolino (figurarsi con fusioni a freddo con partiti in profonda crisi!), ma aprendosi a larghi processi democratici.
1. QUEL CHE SIAMO E QUEL CHE VORREMMO ESSERE.
Se è certo che nessuno di noi vuole un partitino, non è detto che quel che faremo nei prossimi mesi non ci porti comunque a quel risultato. Come è noto, “la via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni” e i processi organizzativi possono prendere strade diverse dagli intenti dei loro stessi membri. Partiamo dal fatto che aver proclamato di aver costituito un partito non fa sì automaticamente che questo partito esista realmente; così come proclamare che siamo un movimento, non ci renderebbe automaticamente più duttili e capaci di adattarci ai cambiamenti della realtà. Piuttosto che dibattere astrattamente attorno alla definizione giusta da darci, dovremmo fare uno sforzo per capire cosa è oggi SEL nella realtà (soprattutto a seguito dell’esperienza delle elezioni amministrative e del risultato straordinario dei referendum) e chiederci se corrisponde ai nostri obiettivi; e se così non fosse, dovremmo interrogarci su cosa possiamo fare per rendere questo nostro strumento sempre più efficace rispetto a quanto vogliamo raggiungere; una volta individuate e decise le azioni che possono rendere la SEL reale più vicina a quella ideale, dovremmo cercare di metterle in pratica, piuttosto che consegnarle agli archivi dei nostri dibattiti, anche se questo potrà voler dire stravolgere assetti e mettere in crisi equilibri consolidati all’interno della nostra comunità.
2. LA PARTITA E’ RIAPERTA. E ADESSO?
Lo slogan scelto per il tratto saliente della nostra azione si è rivelato azzeccato. E’ evidente che da strati sempre più ampi di cittadinanza sta montando una richiesta di cambiamento e SEL e soprattutto Nichi Vendola hanno avuto in moltissimi casi la capacità di intercettarla; o meglio, hanno avuto la capacità di rendere possibile la costruzione di proposte credibili in grado di intercettarla. Dovremmo analizzare meglio quali siano stati gli elementi che ci hanno consentito di raggiungere questo risultato in alcuni luoghi (primarie, scelta di candidati credibili, etc.) e non in altri. Non per trovare i “responsabili” delle sconfitte, ma per capire come si possono interrompere meccanismi che talvolta ci portano a compiere scelte palesemente sbagliate.
Ma più di questo è secondo me urgente e necessario capire come consolidare i risultati positivi, perché il “vento” di entusiasmo e cambiamento non refluisca (come spesso accade) subito dopo le campagne elettorali e si vada ad infrangere contro le difficoltà delle azioni di governo. Il nostro è un mondo veloce, in rapida evoluzione, in cui le persone si aspettano risposte in tempi brevi. E soprattutto, non prendono in considerazione la necessità di un proprio impegno prolungato nel tempo. Se la maggior parte delle persone vede nel rapporto diretto con leader riconoscibili la ragione del proprio impegno, e non riesce assolutamente a vederlo nel sostegno alle organizzazioni partitiche, è sicuramente perché quest’ultime sono viste come luoghi “di proprietà” di altri (potenti oligarchie nazionali o piccoli gruppi locali, il senso di estraneità è lo stesso), ma anche perché si tende ad avere una visione individualistica della partecipazione democratica a scapito della dimensione associativa, per cui è preferibile il ruolo di “supporter” piuttosto che quello dell’attivista “globale”. Ma il rischio che l’entusiasmo e la passione che circondano la figura di Nichi Vendola, innanzitutto, ma anche le altre figure emerse in queste ultime elezioni, siano associati ad una sorta di aspettativa “salvifica” al di sopra della realtà è estremamente elevato. Occorre trovare il modo di convogliarli invece su un’auto-assunzione di responsabilità del ruolo di ognuno nel cambiamento sociale. Non dobbiamo cavalcare l’antipolitica, dobbiamo riconciliare la politica e la società. Cambiando innanzitutto la politica, ma anche la società. E’ questa la vera sfida che ci aspetta.
3. PARTITO O MOVIMENTO, PURCHE’ SIA DIVERSO.
Portare le energie migliori della società nella politica vuol dire portarle dentro SEL? Non necessariamente. In questo senso il nostro ruolo va ben al di là dei confini del nostro soggetto politico. Se il cambiamento passa dal togliere la politica dalle mani di élites sempre più ristrette, dobbiamo trovare il modo di allargare la partecipazione, ma anche trovare il metodo che consenta la selezione adeguata delle idee e delle persone giuste. Viviamo in un paese in cui in ogni campo il problema maggiore è la mancanza di un processo meritocratico di selezione. La politica non fa eccezione, purtroppo, anzi ne è l’emblema. Se questo sforzo, da parte di SEL, è apparso spesso evidente nella sua esposizione esterna, non si può dire altrettanto per la vita interna. Il punto, ripeto, non è definirsi partito o movimento. Non è neanche se SEL sia il soggetto che mira a diventare qualcosa di più grande o sia il soggetto che si mette a disposizione per creare qualcosa di più grande insieme ad altri. Il punto è che, in ogni caso, non si può rinunciare alla necessaria innovazione. Dobbiamo mettere al centro il coraggio, come stella polare, per sconfiggere la paura, in tutte le forme in cui questa si manifesta. Coraggio che è stata la chiave di volta dei diversi successi nostri e del centro sinistra in questo ultimo anno. Per tornare all’intervista di Vendola, le reazioni di ampi settori del PD hanno il tratto caratteristico della paura. E questo dovrebbe rendere noi più decisi nel portare avanti la sfida della nuova sinistra, senza timori, evitando però il rischio di ridurla al dialogo tra pezzi di gruppo dirigente.
Se è vero che dobbiamo sconfiggere il timore di un’annessione (che nei fatti con le primarie, non si è mai verificata), è altrettanto vero che va evitata la paura di una strutturazione del partito come limite alla nostra azione. Questa strutturazione, se accompagnata dal chiaro profilo politico culturale emerso da Firenze, non inficerebbe nessuna evoluzione futura ma anzi la potrebbe aiutare.
L’iter di costruzione dello statuto è in questo senso emblematico e non possiamo affermare che sia stato costruito con il necessario coraggio: sarebbe dovuto scaturire da un impegno straordinario di esperti, studiosi, rappresentanti di esperienze concrete, per poter dar vita a una “casa” che potesse rendere possibile e utile la partecipazione più vasta possibile, non solo dei singoli ma anche dei tanti soggetti sociali che compongono la galassia della sinistra, e la partecipazione più qualificata possibile per la produzione di idee e pratiche veramente nuove. Non mi pare che questo sia stato. Prendiamone atto: la struttura cui stiamo dando vita è lontana anni luce da quella che è l’aspettativa attorno a noi e soprattutto attorno a Vendola. Noi non stiamo facendo il possibile per fare di SEL un luogo diverso dagli altri. Tutti, me compresa, abbiamo fatto errori, ma credo che questa situazione sia il risultato di qualcosa che va al di là della responsabilità dei singoli, che sia frutto di una dinamica tipica dei processi organizzativi. E’ una responsabilità collettiva e, collettivamente, siamo ancora in tempo per cambiare strada. Basta volerlo.
Ileana Piazzoni
